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Il vero protagonista dell'Odissea? Filottete!


Il vero protagonista dell'Odissea? Filottete!


Chi ha ucciso realmente i Proci? Ulisse, Nessuno, Filottete
Scoperto dopo tremila anni il protagonista nascosto dell'Odissea
Un libro di Alberto Majrani


Provate a immaginare che Ulisse non sia tornato mai dal regno dei morti e che a compiere la vendetta verso i Proci sia stato in sua vece il più abile degli arcieri achei, Filottete, il quale, secondo la leggenda, usava le armi forgiate da Ercole...
a cura di leonella zupo
E' questa in estrema sintesi la suggestiva ipotesi su cui si basa il saggio in forma di romanzo "Ulisse, Nessuno, Filottete" di Alberto Majrani, presentato a giugno alla libreria Odradek di Milano. Certo è che ci vuole davvero coraggio, ma soprattutto determinazione, tanto amore per la cultura, lo studio e la ricerca per sfatare un mito del genere, è il caso di dirlo, e Alberto Majrani con il suo libro ha dimostrato di possedere tutte quante queste doti. Ragioniamo allora sulle sue intuizioni e sulla strana storia di Ulisse. La prima obiezione: possibile che uno se ne stia lontano per vent'anni, struggendosi dal desiderio di rivedere la sua patria, abbandoni una bellissima ninfa immortale per tornare da una moglie non più giovane, rientri a casa dopo una pericolosissima traversata in solitaria, nessuno lo riconosca, neanche il padre o la moglie stessa, ne ammazzi tutti i pretendenti rischiando di provocare una mezza rivoluzione, e finalmente, quando avrebbe tutto il diritto di starsene un po' tranquillo, decida di ripartire di nascosto lasciando tutti con un palmo di naso? D'accordo, è un racconto mitologico, però, insomma, non è molto... logico! Una possibile ricostruzione realistica della vicenda arriva dal formidabile "Omero nel Baltico", saggio sulla geografia omerica di Felice Vinci. Quasi di sfuggita, tra le pieghe del discorso, Vinci ipotizza che il figlio di Ulisse, Telemaco, abbia ingaggiato un mercenario per interpretare Ulisse e fare strage dei Proci, i pretendenti alla mano della madre Penelope. Lo stesso Telemaco avrebbe poi scritturato un poeta per raccontare una fantasiosa storia che potesse giustificare tutti gli anni di assenza del padre; oggi forse un avversario politico invidioso definirebbe quel poeta un "pennivendolo di regime" (esistevano già allora, a quanto pare!). Tutto ciò allo scopo di liberare la reggia dai pretendenti che gli stavano mangiando tutte le sostanze; si aggiunga poi che se qualcuno ne avesse sposato la madre, Telemaco avrebbe perso il diritto alla successione e al regno; era lei infatti di stirpe nobile, essendo figlia del potentissimo re Icario, mentre Ulisse era un "parvenu" che si era arricchito con l'arte dei commerci, della pirateria e del saccheggio. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di mezzo, e quindi bisognava anticiparli al più presto. Majrani stava rimuginando sulla faccenda, quando improvvisamente una possibile soluzione ha attraversato la sua mente come un lampo: «Oh perbacco, io so chi era quel mercenario! Riuscite a immaginarlo? Provate a pensarci... eppure ce lo suggerisce Ulisse stesso, quando si trova nella terra dei Feaci. Ulisse afferma di essere il migliore degli Achei nel tiro con l'arco, subito dopo Filottete!». Filottete, ma chi era costui? L'Iliade narra che egli era a capo di un contingente degli Achei che andavano alla guerra di Troia. Ma era stato morso a un piede da un serpente che gli aveva causato una grave ferita. La lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad abbandonarlo sull'isola di Lemno. La tradizione mitica, ripresa da Sofocle in una sua opera teatrale, racconta che - secondo una profezia - Troia sarebbe caduta solo con l'aiuto delle armi di Ercole. Filottete era stato allievo di Ercole e ne aveva ereditato l'arco e le frecce, per cui venne recuperato sull'isola e curato dal medico acheo Macaone; poi, proprio Filottete avrebbe ucciso Paride, dando un contributo determinante alla sconfitta dei Troiani. Ma certo! Il mercenario era Filottete! Questo spiega molte cose: conosceva da tempo Ulisse, e quindi si prestava bene ad interpretarlo, inoltre era "amico di famiglia", e dunque poteva essere disposto a rischiare la pelle in un'impresa così pericolosa; era poi un abilissimo arciere, evidentemente abituato a un "numero da circo" come quello di attraversare con una freccia gli anelli di dodici scuri allineati, il che presuppone anche un certo allenamento, cosa che Ulisse non poteva più avere dopo tanti anni per mare. Ammesso poi che fosse realmente dotato di questa abilità, visto che in tutta l'Iliade, poema che è molto più realistico dell'Odissea, lo stesso Ulisse non usa mai l'arco, neanche durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le gare di lotta e di corsa. Logicamente, i giovani di Itaca non conoscevano Filottete, ma certo qualcuno dei vecchi avrebbe potuto riconoscerlo, per cui sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta. Come abbiamo detto, egli era stato ferito gravemente al piede dal serpente, il che doveva avergli lasciato una evidente zoppìa. E infatti Omero, pur senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso straniero zoppica, fino alla trovata davvero geniale della vecchia nutrice che riconosce "Ulisse" dalla ferita al ginocchio causata da un cinghiale (cosa che non viene mai accennata né nell'Iliade né nel resto dell'Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente perfette). Però Filottete non si accontentava di una cospicua ricompensa, voleva anche la gloria eterna! Ma siccome non si poteva rivelare l'inganno, ecco l'idea di cantarlo come "il migliore degli arcieri achei", a detta addirittura del grande Ulisse. Ma vi pare che lo stesso Ulisse, che si potrebbe definire quasi un "miles gloriosus" ante litteram, avrebbe ammesso, nel poema a lui dedicato, che c'era qualcuno più bravo di lui?? La sua frase, più che un lapsus freudiano, è un vero e proprio "messaggio in bottiglia" lanciato ai posteri, come a dire "chi ha orecchie per intendere, intenda!". E Omero avrebbe lasciato una miriade di messaggi simili in tutto il poema, per farci intuire il reale svolgimento della vicenda. Quanto ad Ulisse, probabilmente doveva essere morto da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via del ritorno. Lo si può dedurre dal fatto che, in tutta l'Odissea, l'idea che l'eroe sia ormai defunto viene ripetuta più volte in modo deciso, mentre l'ipotesi che possa essere ancora vivo viene posta in modo dubitativo. La stessa dea Atena, sotto l'aspetto del mercante Mente, si contraddice in modo palese quando afferma di non essere un indovino, ma di voler formulare ugualmente una profezia, per annunciare che Ulisse tornerà. Ma Mente... mente! Ed anzi esorta Telemaco a pensare egli stesso a come cacciare i Proci, essendo ormai diventato adulto, per cui il figlio di Ulisse parte a cercare notizie del padre proprio dai suoi migliori alleati. Che dire poi del fatto che Ulisse ad un certo punto discende nel mondo dei morti? O che nell'episodio di Polifemo dichiara di chiamarsi Nessuno, per cui il Ciclope ripeterà che Nessuno lo acceca, Nessuno lo uccide? Altri messaggi in bottiglia! E ancora, non appare molto sospetta la straordinaria coincidenza temporale, per cui Ulisse torna ad Itaca dopo vent'anni, e dopo poche ore suo figlio sbarca sulla stessa spiaggia, situata dalla parte opposta rispetto al porto principale? E poi, cosa dovremmo dedurre dalle tradizionali biografie, secondo le quali Omero era cieco? Alberto Majrani cerca allora di ricostruire con ordine la vicenda, per capire come potrebbe essersi svolta nella realtà: il principe Telemaco, adolescente complessato con qualche problema con la madre, si annoia a Itaca e sta meditando il modo di liberarsi dai Proci, prima che loro si liberino di lui. E' arrivato a corte un vecchio cantore cieco o quasi, affetto da cataratta oppure vittima di una ferita, che ai tempi della guerra aveva assistito agli avvenimenti. Magari è stato chiamato, ironia della sorte, dai Proci stessi per il proprio divertimento. Telemaco ascolta la storia dell'Iliade e gli viene in mente un piano diabolico: partire con la nave e andare a cercare un arciere abilissimo, killer infallibile, per eliminare la concorrenza. Che poi passi dalla reggia di Nestore, sapendo di trovarlo lì, che l'idea gli venga dallo stesso Nestore o da Menelao, oppure si rechi direttamente da Filottete, e inventi una storia per giustificare la sua partenza improvvisa, questo non è dato sapere, ma ha poca importanza. Durante il viaggio di ritorno, Filottete e Telemaco perfezionano il piano: metteranno assieme una serie di racconti e leggende di marinai, ambientati in terre lontane, per giustificare la lunga assenza di Ulisse. E così, Filottete viene sbarcato nottetempo in un angolo di Itaca, assieme alla sua ricompensa in oro e oggetti preziosi (fatta passare come dono dei Feaci ad Ulisse); anche Telemaco sbarca sulla stessa spiaggia con la scusa di andare a visitare le sue proprietà, e tornare in città a piedi, mentre la nave fa il giro e arriva in porto (per questo i Proci in agguato non la vedono transitare). Filottete-Ulisse non viene riconosciuto da nessuno, tranne che dal cane (che non può testimoniare, anche perché muore subito), dalla vecchia nutrice rimbambita, e in seguito dal padre Laerte, tutti destinati a morire da lì a poco senza poter smentire la loro testimonianza. Quanto a Penelope, difficile che non ne sapesse niente fin dall'inizio, visto che è proprio lei in persona a indire la gara di tiro con l'arco da cui prenderà avvio il massacro dei pretendenti, e comunque non sarà certo lei a denunciare il figlio. Compiuta la strage, Omero viene incaricato di mettere in bella copia la storia dell'Odissea, e magari di aggiungere qualcosina (raccontata dalla viva voce di "Ulisse") all'Iliade. E se qualcuno avesse avuto di che eccepire, il poeta sarebbe sempre stato in grado di giustificarsi: "Sono cieco, come potevo riconoscere Filottete? Nulla vidi, tutto sentii!". Ma c'è un altro "messaggio in bottiglia", che vale la pena notare: durante il viaggio di ritorno dalla reggia di Nestore ad Itaca, Telemaco porta con sé un certo Teoclimeno, in fuga per avere assassinato un uomo. Teoclimeno viene presentato a corte, dichiara di essere un indovino e profetizza che Ulisse è già in patria. Ci si aspetterebbe che Teoclimeno, se non altro per gratitudine verso Telemaco che lo ha accolto togliendolo dai guai, si offra di dare una mano nel momento cruciale della strage dei Proci. Invece niente, sul più bello sparisce dalla narrazione e non si fa più vedere! Già, ma sarà semplicemente un caso che "Teoclimeno" sembri quasi un approssimativo anagramma di "Filottete"? E ora torniamo a Omero, il cui nome può significare anche "ostaggio": è possibile che fosse un Troiano, finito prigioniero degli Achei. Questo spiegherebbe il motivo per cui si avverte che fa il tifo per i Troiani, e che conosce troppe cose accadute entro le mura di Troia; se fosse stato un cronista acheo, gli sarebbe stato difficile ricostruire gli avvenimenti troiani dopo la caduta della città. Ciò potrebbe forse spiegare anche le differenze stilistiche tra Iliade e Odissea; per quanto simili, Achei e Troiani dovevano avere delle piccole diversità di lingua e di religione, e dopo essere vissuto per vent'anni tra gli Achei, lo stile del poeta potrebbe essersi adattato alle usanze della nuova patria. Invece il buon Telemaco doveva essere un "contaballe" di prima categoria, che però a sua giustificazione poteva esclamare "tale il padre, tale il figlio!". Per dare un'idea di che bel tipo fosse, basta leggere la scena in cui strangola con gusto le ancelle infedeli. E comunque, era tutt'altro che un ragazzino spaurito, ma una specie di piccolo Stalin che liquidava ogni oppositore, e modificava pure la storia a suo uso e consumo! Da Omero ad Orwell c'è davvero poca differenza! Che ne pensate, chiede Majrani? Mandiamo questa storia a Sherlock Holmes oppure al tenente Colombo? Per concludere, Majrani aggiunge che per lui tutto questo gran ragionare è stato un "serio divertimento". Però... però è anche vero che ha sottoposto la sua ipotesi ad alcuni grecisti, che dopo essere sobbalzati sulla sedia ed aver strabuzzato gli occhi, hanno balbettato qualcosa come.. "Mah, sì, è possibile..., però non racconti in giro che gliel'ho detto io!". Il poema omerico, letto in questa chiave, senza perdere nulla del suo immenso valore letterario, assume allora improvvisamente una unitarietà e una logica che nessuno prima d'ora aveva mai neanche sospettato. "Quandoque bonus dormitat Homerus", ogni tanto dorme anche il buon Omero, proclamava Orazio... ma forse Omero era molto più sveglio di quanto si sia sempre creduto!

 

Alberto Majrani - www.filottete.it

ULISSE, NESSUNO, FILOTTETE

Prefazione di Giulio Giorello

Ed. LoGisma - www.logisma.it

Pagine 142 - Euro 12

 

 

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Pubblicato in: Articoli
tag : Curiosita
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